domenica 12 febbraio 2012

Il re è sempre più nudo.


La farsa degli esami “ufficiali” di recupero del debito del primo quadrimestre non è altro che una delle centinaia di assurdità presenti nella scuola italiana.
Alunni completamente demotivati, viziati, ignoranti, talvolta arroganti, che hanno accumulato lacune a strati ormai calcificati, dovrebbero con un corso di una decina di ore (spesso focalizzato sui contenuti e non sulle abilità) “rimediare” carenze che potrebbero essere recuperate solo attraverso miracolosi interventi divini che agiscano sulla famiglia, sulla motivazione, sulle abilità di studio e che richiederebbero, una volta risolte queste abissalmente complesse problematiche, anche molto, ma molto tempo per dedicarsi, finalmente, ai contenuti.

Non basta più la valutazione sintetica espressa da un voto, per esempio 4 (insufficienza grave) o 5 (insufficienza non grave). A fine quadrimestre ho dovuto crocettare un modulo (per ogni studente “da recuperare”) dove indicavo in che grado ogni singola abilità (ex. "parlare più o meno correttamente l'inglese") era stata da me valutata.
Ma non solo debbono essere stilate liste descriventi abilità, ci sono anche le “competenze” (tipo: quel che dice più o meno correttamente serve per comunicare qualcosa), ed infine i famosi contenuti (preferibilmente parcellizzati, perché magari lo studente ha svolto quasi sufficientemente un compito su Shakespeare ma molto male un altro su Milton..., oppure sa bene il “present perfect” ma non sa la frase ipotetica).

La nostra scuola ha offerto una serie di “microcorsi” che ha chiamato “moduli tematici” (esclusivamente basati sui contenuti), sommabili / cumulabili / combinabili, di durata varia (dall'una alle sei ore a seconda della complessità) perché lo studente potesse organizzare un recupero “su misura” (vi lascio immaginare gli incredibili problemi nell'organizzazione degli orari, viste leinevitabili sovrapposizioni di diverse materie).

A tutti gli studenti che venivano a chiedermi “a che corso devo iscrivermi?”, ho risposto: “ad uno che ti costringa ad ascoltare per lo stesso numero di ore che hai perso in tutt'altre attività (fisiche e mentali) mentre io ti facevo esercitare le abilità di ascolto, leggere lo stesso numero di brani assegnati che tu non hai letto, svolgere insieme a te tutti gli esercizi scritti che non hai svolto e, mentre si fa tutto ciò, spiegarti contemporaneamente le regole grammaticali che non hai capito/sentito ma che hai dimostrato di sapere nei test, grazie al buon cuore di qualche compagno che ti ha passato il compito e alla mia impossibilità di controllare tutti durante questa altamente significativa attività”.
Avrete sicuramente intuito che non credo all'efficacia di questi “microcorsi” organizzati per salvare la faccia e mettersi la coscienza a posto con l'opinione pubblica (e soprattutto con il Ministero).
Alla fine di ogni intervento di questo tipo si fa un test “obbligatorio” e “ufficiale” (possibilmente basato sulle “microcose” svolte, altrimenti ci saranno valanghe di proteste) durante il quale un numero spropositato di studenti vigilato da pochi insegnanti collaborerà alla grande alla riuscita ottimale (mi basta sei) del test.
Fare un esame serio, con tanto di interrogazione orale individuale, non se ne parla. Ci vogliono troppe risorse, tempi lunghi, corsi di recupero “congrui”. Inoltre, in questo modo, dove va a finire
“l'oggettività” della prova?

A parte il fatto che la tecnologia mi consentirebbe, se volessi, di registrare le performance nel parlato (una delle prove più affidabili per stabilire se uno studente è capace o no), l'ossessione dell'oggettività della prova si rende manifesta soprattutto quando si ha paura che qualche docente sia più severo di un altro, ma soprattutto più “buono”.
Vorrei tranquillizzare quanti (soprattutto i dirigenti) siano preoccupati del fatto che alcuni docenti facciano passare “più facilmente” degli altri i loro studenti: gli studenti di questi colleghi “buonisti” non andranno comunque a recupero, avranno sei al primo quadrimestre!

Quest'anno credo di aver toccato il limite nel mio grado di sopportazione di questo sistema che mi avvilisce facendomi perdere energie e tempo più utili per la sperimentazione, la preparazione di lezioni efficaci e ricche per poter lavorare con quei pochi studenti che ancora apprezzano queste cose, perché è per loro che lavoro, sono un investimento per il mio stesso futuro.
La massa di pelandroni che abbiamo contribuito a creare (molti nel frattempo sono diventati i genitori dei nostri attuali alunni) non la recupereremo certo in questo modo. Accettando supinamente (e ipocritamente, visto che ogni ora di queste lezioni viene pagata profumatamente) questa gestione delle risorse continueremo a fare il gioco dei padroni, che ora si sono inventati gli interventi di recupero obbligatori per distrarre le energie dei migliori docenti e dare così la mazzata finale alla scuola. Tutto nei piani.

Quando ne parlo con i colleghi, sono quasi tutti d'accordo con me (e a volte, di nascosto, anche il dirigente!). Ma allora, come mai va tutto avanti senza che nessuno protesti? Perché ormai il far finta di niente è entrato nei nostri cromosomi, digeriamo qualsiasi cosa pur di non doverci stressare con proteste o pericolose esposizioni personali. Mi dispiace, mi sento profondamente di un'altra pasta. Mi costituisco, licenziatemi.

martedì 3 febbraio 2009

Tango, ergo sum

Se dovessi spiegare il tango ad una persona totalmente estranea a questo tipo di musica/ballo/cultura, comincerei con la visione di un video:




si tratta di un tango ballato da Juan Carlos Copes e Lorena Yacono all’interno del film di Carlos Saura Tango.

La musica è quella di uno tra i più grandi compositori e direttori d’orchestra di tango della storia del genere: Osvaldo Pugliese (1905-1995). Il brano è Recuerdo, molto famoso tra i milongheros o tangheros di impianto “tradizionale” o sia, amatori di quel genere di tango definito Tango Salón.

Qui verrebbe la tentazione di aprire una parentesi vastissima e parlare dell’ origine del tango o delle principali orchestre dell’Epoca d’oro (tra gli anni ’30 e ’50) o dei diversi stili di ballo e la loro evoluzione (fino al Tango Nuevo) ma risulterebbe una trattazione eccessivamente lunga ed inutile allo scopo che si prefigge questo articolo, ovvero far cogliere un frammento di essenza del tango come danza di coppia, cercando per quanto possibile di comunicarne il senso profondo, la radice del suo fascino.

Osserviamo questa coppia che balla. I loro passi, per gran parte del ballo, sono relativamente semplici, quello che conta è la sensazione di dialogo che traspare dai loro movimenti, dal gioco che nasce all’interno del loro “abbraccio”. La macchina da presa non si focalizza eccessivamente sui piedi, ma si sofferma molto di più sugli sguardi. Sguardi non eccessivamente diretti, non sguardi di occhi, ma fluido che emana dall’interno, sufficiente a tenere quella tensione necessara per stabilire un contatto profondo. Sguardi che solo in un momento fugace e ambiguo, quasi ironico, sono rivolti all’esterno, per tutta la durata del ballo invece abbiamo la percezione netta di una nuvola, una cappa di cristallo che avvolge la coppia, all’interno della quale si sprigiona un’energia, veicolata dalla musica, che forma il canale di quel dialogo senza parole.

Imparare a comunicare questa energia con il corpo significa sapere “parlare la lingua del tango” .

Tecnicamente, io partirei da questa emozione e cercherei di trasformarla semplicemente in una “camminata elegante” mentre “si respira insieme”. Al di fuori di questa eleganza, di questo respiro, non c’è Tango, non ci sono passi o figure che tengano.

Osserviamo anche l’orchestra mentre suona, anch’essa fa parte del gioco. E’ complice nell’aver creato la giusta atmosfera per l’incontro. E’ essa stessa un personaggio. E’ il paraninfo, il connivente. Gli spettatori, i testimoni muti di un incantesimo.

Il ritmo suggerito dalle modalità delle riprese e dalla musica è quello di una totale assenza di fretta. Quasi un voler far durare il più possibile, dilatandolo, il tempo naturale di una breve conversazione.
Una delle ultime inquadrature sul gioco delle gambe, nella parte più veloce del pezzo, ci fa capire meglio come il movimento non sia altro che la coda dell’onda di una vibrazione che parte da altrove.

Se il mio linguaggio è risultato fumoso o incomprensibile a qualcuno, cercherò allora di spiegare il tango da un altro punto di vista.
Per coloro che non lo sapessero, è essenziale dire che il tango si improvvisa.
L’uomo (o chi per lui, il conductor) segnala alla dama (o partner o seguidor/a) una sua intenzione di movimento (marca). La donna “sente” (nel proprio tranining le verrà insegnato ad “ascoltare” e ad “aspettare”) e asseconda, accetta, in altre parole segue, e nel frattempo abbellisce, gioca tra un passo e un altro, tra una pausa e un’altra.
Alla base di tutto c’è un patto, è quello - da parte della donna - di lasciarsi guidare, di fidarsi, di “affidarsi”; e - da parte dell’uomo - di procedere con rispetto, sondando con discrezione le “caratteristiche” di quella ballerina, prima di proporre discorsi complicati.

Nelle serate di tango (milonghe), la musica di solito è proposta per gruppi di brani (tandas) affini tra di loro. In genere una coppia balla una tanda (tre o quattro brani) di seguito. Si consiglia che in una nuova coppia il cavaliere cerchi di capire con che tipo di donna stia ballando, durante il primo brano, poi magari nel secondo può tentare di sondare fin dove può spingersi, e durante gli ultimi balli, finalmente ballerà.

Fui molto colpita da una frase del maestro Carlos Rivarola durante uno stage a Cagliari: non c’è tango senza rispetto. E alla fine della lezione ci salutò dicendo: grazie per il rispetto.

Molte definizioni efficaci sono state date sul tango:

un pensiero triste che si balla
ciò che avviene tra un passo e l’altro
una storia della durata di tre minuti

Probabilmente ogni amatore di tango darebbe la sua propria personale definizione.

Ma perché il Tango, a differenza di tanti altri balli di coppia, provoca tanto coinvolgimento da arrivare a forme di dipendenza e suscita tanto dibattito fino alla creazione di autentiche “scuole di pensiero”, quando non addirittura “fazioni”, per la promozione di questo o quel genere o stile?

Beh, considerate le premesse, come può non coinvolgere una danza dove una persona si deve mettere così in gioco ed essere praticamente “senza pelle”? Mentre si balla si rivela il nostro essere più intimo, e questo può creare non pochi problemi. Nel tango spesso ci si difende, fino anche a rifiutarne alcune caratteristiche.

Per quanto riguarda invece il prendere posizioni a favore di questo o quello “stile”, molto dipende da come ci si è avvicinati al tango e dal grado di conoscenza che si ha di tutte le componenti che formano questo universo culturale.

Il tango sta arrivando a noi sotto forma di superficiali stereotipi, ma di questo ho già discusso in un altro blog.

martedì 14 ottobre 2008

Scrivo poco...

E’ vero, scrivo pochi post…
Ma è importante quanti?
In realtà per ogni articolo, argomento, pensiero più o meno complesso che voglio esprimere ho necessità di tanta riflessione interna, e il fatto di cercare di organizzare quelle idee che ho “urgenza” di fissare (per sempre?) in modo semplice ma efficace mi richiede una continua rielaborazione (sono fatta così!) , possibile solo in momenti di vera quiete (alla Wordsworth) sempre più rari.
Il mio concetto di blog non è quello del diario di bordo, ma piuttosto quella dello “scaffale” dove riponi dei pezzi di bricolage, che hai sempre sul tavolo, e ritocchi, levighi, perfezioni, più per avere qualcosa su cui “meditare facendo” ( magari pensando a un destinatario particolare, per poterlo regalare, un giorno, quando sarà finito) che per altri scopi. E come spesso capita, quando qualcuno viene a farti visita, curiosamente butta l’occhio su quei tanti/pochi oggetti, che aggiungono una nota di colore alla tua casa, e sollecitano qualche curiosità, qualche domanda.
Non sono comunque rimasta con le mani in mano questi ultimi mesi, e qualcosa l’ho anche terminata:







Spero che la mia eccessiva assenza sia stata perdonata.

Il mio prossimo pensiero articolato sarà dedicato al Tango, che, come si deduce dal profilo, fa parte delle mie passioni.

Hasta luego entonces.

mercoledì 4 giugno 2008

Arrivano i mostri!


Durante l’ultimo periodo dell’anno scolastico gli insegnanti hanno gli incubi, non parlo in senso metaforico, proprio la notte.
E’ un ossessionante turbinio di facce distorte, sguardi alla D’Eusanio, e frasi frasi frasi, bisbigliate, urlate, passate sottobanco o dette in faccia. Ogni frase una frustata, uno sputo, un morso di cobra.

Immaginatevi mille occhi addosso:

Parlo a nome di tutta la classe;
nessuno capisce niente durante la sua lezione;
non gliel’abbiamo detto prima perché tanto era inutile;
non ho portato il quaderno perché l’ho dimenticato a casa di mia nonna;
ho perso il quaderno, non riesco a trovarlo, peccato perché ieri ho fatto tutti i compiti;
la nota l’ha firmata mia madre! E’ diversa da quella del cartellino perché mamma non firma mai uguale!;
uff! che fastidio le dà la borsa sopra il banco?;
uff! perché devo togliermi il cappello?;
uff! perché devo togliermi gli occhiali da sole?;
uff! perché devo togliere i piedi da sopra il banco?;
questo è un lager!;
posso andare in bagno?;
posso andare a parlare col prof?;
posso andare a consegnare un modulo;?
posso andare per le classi ad organizzare la partita di calcetto?;
posso andare a prendere un tè? Non sto bene…;
guardi che la responsabilità è sua se mi sento male;
ora chiamo mia madre con il cellulare;
non ho potuto comprare il libro perché non ho i soldi;
è vero, ho il cellulare anzi due cellulari, casomai uno venga sequestrato, però me l’ha regalato mio zio);
io ho il diritto di mangiare quando ho fame, quindi posso consumare le patatine durante l’orario di lezione, perché non ho fatto colazione, se svengo è colpa sua;
questo non può chiedermelo perché non c’è nel libro;
io non sono obbligato a prendere appunti;
ieri lo sapevo;
questa domanda non me la può fare perché sta nel primo paragrafo, e io porto solo il 2° e 3°;
ci deve dire “esattamente” che cosa ci darà al prossimo compito;
questo non me l’ha spiegato perché io ero assente;
un aiutino, professore’;
ma io ho studiato, ne deve tenere conto;
se lo sapevo non facevo tutta la fatica l’ultima settimana;
non sono mica un genio che devo avere tutto sei!;
tanto la scuola non serve a niente;
tanto chi passano sono solo gli “incozzati”;
tanto lei va a simpatie;
tanto non serve essere bravi per avere un posto di lavoro, servono gli incozzi;
io voglio fare l’odontoiatria, tanto mio padre mi lascia lo studio, e quindi studierò solo all’università;
tanto lei ha già deciso che sono bocciato;
mi può interrogare l’ultimo giorno?

Ma niente è comunque più terrificante dei genitori:

Parlo a nome di tutti i genitori;
con il professore dell’anno scorso mio figlio aveva otto;
il professore odia mio figlio;
l’ha interrogato il cugino che è stato in America ed è andato bene, poi l’ha interrogato il professore e naturalmente gli ha dato cinque;
l’ha bocciato con cinque!;
professore, come mai con lei vanno tutti male?;
secondo me lei dovrebbe fare più grammatica;
secondo me lei dovrebbe fare più conversazione;
secondo me lei dovrebbe dare un programmino ad ogni studente a seconda delle carenze;
secondo me lei dovrebbe interrogare solo le cose che lo studente sa bene;
in Shakespeare ha già la sufficienza, quindi altre domande non gliene può fare;
lei inibisce gli studenti, fa troppe domande dirette e vuole una risposta precisa;
non è mio figlio che non parla bene l’inglese, è lei che non vuole sforzarsi di capire;
lei non mi piace;
le lo fa apposta;
mio figlio le è antipatico;
lei lo vuole bocciare a tutti i costi;
va be’, tanto il coltello dalla parte del manico ce l’avete sempre voi…;
i docenti sono tutti ignoranti;
hanno un sacco di vacanze;
non sanno motivare;
sono degli sfigati;
sono dei frustrati;
se fossero stati persone intelligenti non sarebbero finiti a fare gli insegnanti;
se la maggior parte degli studenti di una classe va male, la colpa non può essere che dei professori;
gli studenti che vanno bene, erano già bravi;

mio figlio non fa altro che studiare, rimane chiuso in camera tutta la sera;
la sua materia è la preferita, ascolta canzoni in inglese continuamente;
ha la sua televisione privata in camera;
ah, c’è un registro elettronico per controllare le assenze? Non lo sapevo - e comunque io non ci capisco niente di Internet, lui sì, è sempre collegato…;
non siamo obbligati ad avere Internet per fare i compiti;
…e lo promuova, cosa le costa?;
io voglio sapere “esattamente” cosa deve studiare mio figlio;
ma cosa dice, ce la farà?;
mi deve assicurare se ce la farà o no. Vale la pena che si metta a studiare gli ultimi giorni? Ce la può fare?, Ah? Ce la può fare?;
gli abbiamo tolto il cellulare per ben due giorni ma non ha studiato lo stesso, quindi gliel’abbiamo restituito, perché tanto era inutile;
vuole a tutti i costi il cellulare nuovo, ma noi saremo irremovibili! Al limite se si impegna quest’ultima settimana…;
gli abbiamo comprato un cellulare nuovo per consolarlo dalla bocciatura;




Ma tutto questo non sarebbe potuto succedere senza l’amorevole aiuto dei colleghi:

Lo studente non è un numero;
i professori di matematica non sanno niente di didattica;
non imbrigliamoci con le griglie di valutazione;
il voto minimo è due, non zero;
lo studente va saputo motivare;
bocciare uno studente è come commettere un omicidio;
fatevi l’esame di coscienza, colleghi! Avete fatto fino in fondo il vostro dovere?;
vi ricordate quanto eravamo somari noi alla loro età?;
ma perché presentate i ragazzi col cinque? O gli date quattro o gli date sei!;
ma questo quattro è un vero quattro? Non è che è quasi cinque…
dietro quel ragazzo ci potrebbe essere un genio e noi lo stiamo bocciando;
è vero, non sa niente, ma è il più intelligente, se bocciamo lui bocciamo tutti;
se bocciamo dichiariamo il nostro fallimento;
se bocciamo perdiamo posti di lavoro;
non si può bocciare un ragazzo in prima, ancora deve ambientarsi;
che senso ha bocciare in seconda? Dategli una possibilità, al limite lo fermano al triennio – vi ricordo che siamo ancora nella scuola dell’obbligo;
siamo in terza, ci sono tante materie nuove, il ragazzo ha sofferto un trauma nel passaggio dal biennio, dobbiamo incoraggiarlo, non troncargli le gambe;
è iscritto per la terza volta? Allora non possiamo bocciarlo, perde tutto!
E se si suicida? Voi ve la sentite di assumervi la responsabilità?;
e dopo che l’abbiamo mandato in quarta lo fermiamo? Ci dovevamo pensare prima;
ormai è in quinta, se lo bocciamo ci rovina la quarta, ma chi l’ha fatto arrivare in quinta? abbiamo sbagliato, ormai lo passiamo, ma dall’anno prossimo saremo più severi;
ma vi illudete di salvare il mondo bocciando un ragazzo?;
fa il bullo perché è un insicuro;
è facile insegnare ai bravi, il difficile è insegnare ai somari!;
non dimentichiamoci che siamo degli educatori;
non ci cambia la vita sapere un autore in più o in meno;
e se uno non è portato per la matematica deve rinunciare a frequentare la scuola?;
meglio tenere i ragazzi a scuola che mandarli sulla strada;
i test valutano solo nozionismo;
l’insegnamento è una missione;
sono ragazzi…
ragazzi sono!
Ma lo volete capire o no che sono ragazzi!

lunedì 28 aprile 2008

Sa Die de sa Sardigna

Sa Die de sa Sardigna de occannu est dedicada a sa limba sarda, e pro onorare custa ricurrentzia (e sa limba mea) bos cherjo contare unu contu, chi mi contabat semper mama cando fipo minore.

Su contu ‘e su prade e sa perra ‘e fava.

B’aiat unu prade chi aiat una perra ‘e fava. Antis de falare a bidda a pedire sa limùsina, si firmat a curtzu a una domo in-d-ube bi fit unu puddarju, e lassat sa perra ‘e fava in supra ‘e una preda. Bi colat una pudda e si-che la màndicat.
Custa non fit cosa! “O sa fava o sa pudda, o sa pudda o sa fava!” Li nât su prade a sa mere ‘e domo, tottu irfadau. E issa, poveritta, li toccat de li dare sa pudda. Su prade si la ponet in-d-unu saccu e si-ch’andat.

Sichit falande in s’istradone mannu e a pustis de pacu accudit a unu porchile. Lassat andare sa pudda a biccare unu pacu in ziru, e tott’in-d-unu crompet unu porcu… e si-che pappat sa pudda, biccu e tottu. “Nosse, nosse!” Fachet su prade, lamentàndesi chin su porcarju: “O sa pudda o su porcu, o su porcu o sa pudda!” …e si che piccat su porcu.

Colat luego a unu cubile, chin su porcu a traìla, e lu prendet a curtzu ‘e una bratza, in-d-ube s’est abbeverande unu caddu. Si muscat su caddu, li dat càrchide a su porcu, e mortu l’at!
Su prade, inchietu: “O su porcu o su caddu, o su caddu o su porcu!” E a dolu mannu ‘e su pastore, si che piccat su caddu.

Alligru che còzzula, su prade torrat a piccare s’istradone mannu e rucrat in-d-una tanca, chin su caddu tottu sudorau pro su caminu e sa calura. Su prade biet a una pitzinna e li pedit: “Si andas a abbeverare su caddu ti do duos sisinos.” Issa piccat su caddu pro lu jùchere a unu tròlliu a s’àtter’ala ‘e sa tanca. Su caddu est nervosu e sa pitzinna no est meda abbista, duncas sa bèstia dat un’iscutzinada e si-che fughit. Sa pitzinna torrat pranghende a ub’est su prade, ma issu non cheret intèndere resone: “o su caddu o sa pitzinna, o sa pitzinna o su caddu”. Su babbu e sa mama sunt disisperaos, e li cheren fintzas pacare su dannu, ma su prade est malu a cumbìnchere. Non b’at remediu. Fachet pònnere sa pitzinna in intro ‘e unu saccu, si la gàrrigat a pala, e cuntentu mannu che falat a bidda.

Una borta arribbau a fùrriu, toccheddat a una janna e l’aperit una tzia.
“A mi la dazes sa limùsina?”
“Colae, colae,” fachet sa tzia “a bos cùmbido?”
“Eh, una tassichedda ‘e binu ja mi la bibo.” Rispondet su prade.
“E ite tenies in cussu saccu?” Pedit sa tzia, ca bidiat chi carchi cosa si fit moghende e li pariat fintzas de intèndere comente ‘e unu lamentu.
“Nudda…unu porcheddu chi m’an dau, pro che lu jùchere a cumbentu.”
Ma sa tzia est suspettosa, e tando li nât a su prade: “a ite non bos rifriscaes prima de che torrare a cumbentu? Colae, b’at una bratzichedda inoche in palas… Lassae su saccu in cue, ja non bollu toccat nemmos.”
E su prade si lassat cumbìnchere, ca fit abberu meda istraccu e disizzabat de si pasare.

Tando sa tzia compudat su saccu, e b’atzapat sa pitzinna, presa che porcheddu, chin-d-unu muccadore ligau in bucca, chi in pessu podiat piliare.
Sa pitzinna li contat tottu e tando sa tzia detzidit de lia fàcher’ pacare a cussu rimittanu ‘e prade.
Che ponet in intro de su saccu unu cane arrajolau, tottu presu issu puru che sartitza, e che mandat in presse sa pitzinna a domo sua.

Torrat su prade e biet chi su saccu s’est moghende un’azzicu troppu, e timende chi lu dian iscupèrrere, detzidet de si che torrare derettu a cumbentu.
Piccat un’àteru caminu pro fàcher’ prus in presse, e intantu pessabat cuntentu a tottu sos imperjos chi li podiat cumandare a sa pitzinna: “a cuchinare, a fàcher’ sos lettos, a fàcher’ a mandicare, a andare a batire s’aba…no, cussu nono, e si si-che fughit? E belledda at a èssere? Non bi l’apo pompiada bene…” e pessande gai li benit sa gana de bìere coment’est.
S’arressat in-d-unu cuzzone e aperit su saccu: de repente su cane si-ch’isorbet e li sartiat assupra – li dat una mossa a cara e lu lassat gai, chin su nasu pèndula pèndula, pranghende a suppeddu, oi oi oi oi!




“Torrau bi ses? Gai imparas!” Li naran sos prades de su cumbentu cando ghirat tottu pistu dae un’àtera die de malas trassas.

Illustratzione de Pikerart

martedì 15 aprile 2008

Requiem per la Sinistra

Infine se n’è andata.
Non ci si crede mai fino alla fine che possa accadere, si spera sempre in un miracolo, anche nella situazione disperata come quella in cui ha vissuto i suoi ultimi anni/mesi/giorni…

In realtà, a volerlo ammettere fino in fondo, è stato meglio così. Stava soffrendo troppo. Era una pena vederla ridotta all’ombra di se stessa, senza più quell’energia, quella lucidità, quella fantasia, quel coraggio.

Sono strani i funerali. Anche quelli delle persone a te più care. Hanno qualcosa di estremamente consolatorio, quasi di piacevole. Tutto quel raccoglimento, quel silenzio ovattato di affetti e di sguardi comprensivi, i ricordi che si accavallano tutti assieme e quel dolore che è ancora troppo presto per sentirlo realmente. Che bel funerale…

Dopo tutto lo strepito, le urla disumane, l’affannarsi pietoso e la volgarità della disperazione.
Finalmente, il silenzio.

Per un po’sarà bene non pensarci.
Vi prego, chiedo silenzio.

PIDO SILENCIO

AHORA me dejen tranquilo.
Ahora se acostumbren sin mí.
Yo voy a cerrar los ojos
[…]
Amigos, eso es cuanto quiero.
Es casi nada y casi todo.
Ahora si quieren se vayan.
He vivido tanto que un día
tendrán que olvidarme por fuerza,
borrándome de la pizarra:
mi corazón fue interminable.

Pero porque pido silencio
no crean que voy a morirme:
me pasa todo lo contrario:
sucede que voy a vivirme.
[…]

Pablo Neruda – (Estravagario, 1958)

lunedì 14 aprile 2008

Il mio studente preferito

Giusto perché vi facciate un'idea :



questo è lo studente dei miei sogni...

(Da: La figlia di un soldato non piange mai - James Ivory, GB 1998)